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L’equazione dell’anima


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L’idea comune, quasi un archetipo!, che si ha dello scienziato nel mondo moderno e’ di un uomo fondamentalmente algido, immerso nei suoi numeri e sostanzialmente indifferente alla vita sociale. Curiosamente lo scienziato puo’ essere anche geniale, anzi lo si pretende, purtuttavia il binomio genio e sregolatezza gli e’ precluso, essendo quest’ultimo appannaggio dei creativi, cioe’ musicisti, pittori ai quali si associa peraltro una vita bohemiene. Nella realta’ e’ evidente che le funzioni creative e analitiche si mischino tanto negli scienziati quanto negli artisti, purtuttavia se sugli artisti gli aneddoti della loro vita scapestrata si affastellano, poco si e’ indagato sulle vite per cosi’ dire movimentate di uomini quali Feynman e Pauli, e dell’impatto della loro vita personale sulle loro ricerche e viceversa. E’ pertanto molto interessante e direi pure meritevole l’operazione di Arthur Miller che nell'”Equazione dell’anima” indaga i rapporti tra Pauli, uno dei giganti della fisica di inizio secolo, e Jung, che lo ebbe in cura, fatto nascosto per lungo tempo su desiderio di Pauli che temeva la disapprovazione della comunità scientifica, e del loro tentativo di gettare un ponte tra fisica e psicologia. Il saggio, dotato di ricca bibliografia, ben analizza il lavoro di Pauli in relazione alle sue problematiche psicanalitiche,  riproducendo il senso di smarrimento di un genio a fronte dei rivolgimenti scientifici, storici e sociali cui assistette da assoluto protagonista almeno in campo fisico sottolineando come, da un certo punto in poi, la psicoanailisi e l’autonalisi diventino un motore della ricerca scientifica di Pauli.

Tuttavia il libo ammicca un po’ troppo al lettore facendo presagire chissa’ quali legami tra fisica e occultismo e perdendosi soprattutto nell’ultimo capitolo dedicato alla costante di struttura fine in futile numerologia, a mio parere solo per giustificare il marketing del libro, anche se nel corso del libro l’autore ha ben chiarito l’importanza della medesima dal punto di vista fisico.
Cio’ non toglie che la sua lettura sia in linea di massima godibile e estremamente interessante.

Sei pezzi facili


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“Sei pezzi facili” contiene 6 lezioni del famigerato corso Lectures on Phisics che Feynam tenne per gli studenti dei primi anni al Caltech tra il 1961 e il 1963. Questi sei estratti tra le sue lezioni piu’ semplici non fanno che confermare la fama di pessimo didatta di Feynman, unitamente alla sua incredibile comprensione dei fenomeni fisici e alla sua capacita’ di esaminarli nella loro interezza.

Non faccio infatti fatica a immaginarmi lo smarrimento dello studente quando alla fine della lezione sulla “Fisica di base” Feynman gli spiattella l’organigramma delle particelle elementari, cosi’ come conosciuto in quegli anni, o quando nel capitolo su “La relazione tra la fisica e le altre scienze” discute del ciclo di Krebs o delle eliche del DNA. O il loro disorientamento per la medesima lezione in cui si salta fin troppo arditamente dalla biologia, alla geologia, alla psicologia. Una classica lezione alla fine della quale lo studente medio si chiede cosa avesse voluto dire il professore.

Inoltre a distanza di cinquant’anni queste lezioni risultano tuttavia per certi versi sorpassate, almeno quanto a contenuti, anche se per altri mostrano la loro assoluta classicità come per esempio quella su “La teoria della gravitazione”, a mio parere la migliore del sestetto per impostazione didattica.

Tuttavia tra le citazioni inevitabilmente datate che rendono le lezioni tutto sommato inutili agli addetti ai lavori e le  loro vertigini che le rendono inadatte allo studente neofita, rimane poco di effettivamente godibile di questo manuale che rimane intrappolato nei suoi troppi anni.