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Non facciamoci del male


Le battaglie vere non debbono spaventare perché solo le battaglie vere selezionano leader seri.

E quindi la proliferazione di candidature alle primarie e’ cosa buona e giusta.

Essendo il PD un partito inclusivo – come dovrebbe a tutti gli effetti essere – come il Partito Democratico americano e’ normale e naturale che si possano esprimere più  candidature, sei sette otto, quante ne volete. Alcune di queste servono semplicemente a marcare il territorio, altre puntano a spostare la corsa sulle tematiche che a loro interessano, altre sono semplicemente velleitarie. Alla fine la vera corsa e’ tra due o tre contendenti.

Sul piano strettamente tattico questa esplosione di candidature e’ invece connaturata alla segreteria Bersani, nel senso che prima Bersani ha imbarcato la qualunque per vincere il congresso contro Veltroni e poi ha cooptato la classe dirigente delle mozioni sconfitte, senza pero’ cooptarne la base. La quale base preme invece per candidature alternative a quella del segretario, che ricordiamoci ha vinto il congresso con il 55% dei voti, non certo una vittoria schiacciante.

Renzi per inciso sta sfruttando molto bene questo fatto aggregando parecchie simpatie di chi vorrebbe liberarsi della vecchia guardia alle spalle di Bersani.

La tentazione del resto e’ forte anche per me, fare un bel repulisti di vecchi arnesi, ma poiché il programma di Renzi non mi piace, resisterò alla tentazione mio malgrado, perché il votare contro Bersani equivale al votare contro Veltroni e il fare fronte turandosi occhi naso e bocca non serve altro che a rimandare la risoluzione degli altri n-mila problemi del partito.

E quindi niente: il “Non facciamoci del male” dell’Unita’ e’ un controsenso e un errore tattico e strategico perché esprime solo la paura di una vecchia classe dirigente di essere spazzata via e basta.

L’unico modo serio di farsi del male e’ non pubblicare il regolamento delle primarie, ammiccare e tergiversare e poi magari provare a vincere la partita con qualche trucchetto formale alla Rosy Bindi. Il che si tradurrebbe in una non-vittoria alle primarie e a un prodromo di sconfitta alle elezioni.

Sempre che l’obiettivo non sia proprio quello: spianare la strada a un Monti-bis magari più riequilibrato a sinistra grazie ai nuovi rapporti di forza nel parlamento, qualunque cosa possa significare questo riequilibrio a sinistra per un governo oggettivamente di destra liberale e strutturalmente incapace di risolvere i problemi del paese perché chiuso nella sua ideologia liberale.

Il minimo sindacale di un leader


Stretto tra l’appoggio obtorto collo ad un governo impopolare e la marea risalente del populismo, incapace di approfittare del disfacimento dell’avversario storico, incalzato da alcuni alleati e infastidito dalla vaghezza strategica degli altri, con un partito attraversato da malumori più’ o meno sotterranei, con il rischio di ritrovarsi commissariato da improbabili liste civiche nazionali, Bersani, all’ultimo minuto, fa il minimo sindacale che ci si aspetta da un leader.

Prende l’iniziativa e accetta  la sfida alla sua leadership scegliendo il campo di battaglia, definendo modi e tempi e riprendendo per se e per il PD il centro della scena politica, oscurando tutti gli altri interpreti  dell’agone politico o mettendoli nelle condizioni solo di reagire alle sue scelte.

In un paese normale sarebbe stato probabilmente troppo tardi per sperare di vincere le elezioni, e la mossa del segretario sarebbe stata vista come l’ultimo disperato tentativo di mettere a tacere l’opposizione interna ed esterna e come tale bollata.

Tuttavia nell’Italia del 2012 questa mossa invece ricorda a tutti che l’unico partito contendibile e scalabile, e quindi l’unico vero partito, con tutti i suoi limiti, e’ il Partito Democratico.

E quindi probabilmente basterà a vincere le elezioni approfittando dello squagliamento del PDL, della perenne  indeterminatezza delle esigue forze di centro e rintuzzando il velleitario populismo di Grillo.