Il minimo sindacale di un leader
Stretto tra l’appoggio obtorto collo ad un governo impopolare e la marea risalente del populismo, incapace di approfittare del disfacimento dell’avversario storico, incalzato da alcuni alleati e infastidito dalla vaghezza strategica degli altri, con un partito attraversato da malumori più’ o meno sotterranei, con il rischio di ritrovarsi commissariato da improbabili liste civiche nazionali, Bersani, all’ultimo minuto, fa il minimo sindacale che ci si aspetta da un leader.
Prende l’iniziativa e accetta la sfida alla sua leadership scegliendo il campo di battaglia, definendo modi e tempi e riprendendo per se e per il PD il centro della scena politica, oscurando tutti gli altri interpreti dell’agone politico o mettendoli nelle condizioni solo di reagire alle sue scelte.
In un paese normale sarebbe stato probabilmente troppo tardi per sperare di vincere le elezioni, e la mossa del segretario sarebbe stata vista come l’ultimo disperato tentativo di mettere a tacere l’opposizione interna ed esterna e come tale bollata.
Tuttavia nell’Italia del 2012 questa mossa invece ricorda a tutti che l’unico partito contendibile e scalabile, e quindi l’unico vero partito, con tutti i suoi limiti, e’ il Partito Democratico.
E quindi probabilmente basterà a vincere le elezioni approfittando dello squagliamento del PDL, della perenne indeterminatezza delle esigue forze di centro e rintuzzando il velleitario populismo di Grillo.
Pubblicato il 9 giugno 2012, in Partito Democratico con tag Bersani, primarie. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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