Il senso dell’articolo 18


Riprendo dalla bacheca di facebook di un mio amico avvocato del lavoro una sintetica, ma ritengo efficace, spiegazione del valore dell’articolo 18

Ad oggi è possibile licenziare qualunque lavoratore per giusta causa o per giustificato motivo. La prima si ha quando viene commesso un fatto gravissimo (una rissa, un furto), il secondo può essere oggettivo (come una crisi economica) o anche soggettivo (per motivi attinenti il singolo lavoratore come una subentrata inabilità). Per i licenziamenti intimati correttamente, nel rispetto delle norme, non è prevista quindi alcuna sanzione.
Dopo la legge Fornero che l’ha riformato, l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori prevede le sanzioni per i casi di licenziamento comminati senza giusta causa o giustificato motivo, nelle aziende che occupano più di 15 dipendenti. Solo in alcuni e più gravi casi, come la discriminazione o la inesistenza delle ragioni addotte si può arrivare alla reintegra nel posto di lavoro ordinata dal Giudice. La reintegrazione per altro è prevista in molti Paesi Europei come Germania, Austria, Grecia, Belgio, Irlanda, Danimarca, Norvegia, Olanda, Svezia, Cipro. Per tutte le altre ipotesi di licenziamento, seppure viene dichiarato illegittimo, ma non così grave, il Giudice può solo condannare l’Azienda a pagare un indennizzo al lavoratore.
Con queste norme non si può licenziare in Italia? Pare proprio di no. Secondo i pochi dati statistici raccolti dal Ministero del Lavoro dall’agosto 2012 al giugno 2012, 39.405 lavoratori sono passati per i meccanismi di conciliazione previsti per i soli licenziamenti di tipo economico. Nei primi sei mesi del 2014, sono stati 8537, di questi 4372 hanno accettato un accordo economico avanti agli organismi del Ministero, 2563 si sono rivolti poi al Giudice.
Quindi il numero complessivo dei licenziamenti, considerando anche quelli per giusta causa e per motivi soggettivi, è molto più alto.
In Tribunale, secondo il processo del lavoro, il Giudice stesso è obbligato a promuovere il tentativo di conciliazione, il quale nella stragrande maggioranza dei casi fa arrivare le parti ad un accordo di tipo economico. Anche perché in quella sede grazie al confronto con un magistrato specializzato le parti hanno modo di farsi una idea di come potrà andare la causa ed essere orientate nella conciliazione.
Anche al termine della causa, nel caso il licenziamento sia ritenuto illegittimo per i casi più gravi e si arrivi all’ordine di reintegrazione, il lavoratore può scegliere una indennità economica, a questo punto più alta, e non tornare in un luogo di lavoro dove non è gradito.
Sicché i lavoratori effettivamente reintegrati nel posto di lavoro sono ben pochi e ciò si verifica solo in contesti produttivi di grandi dimensioni, dove il lavoratore può essere assegnato ad altro reparto o filiale, con altri superiori e colleghi.
Cosa serve dunque la sanzione dell’art. 18? Cesare Beccaria diceva che le norme si rispettano per il timore della pena o per consenso. Siccome, in questo Paese non brilliamo per l’adesione volontaria alle leggi, non resta che la pena, ovvero la presenza di una sanzione effettiva ai licenziamenti comminati ingiustamente.
L’art. 18, prevedendo anche solo come ipotesi residuale la reintegrazione, serve per orientare i comportamenti al rispetto delle norme: indicando alle aziende che contro i licenziamenti ingiusti c’è una sanzione concreta ed assegnando ai lavoratori una difesa contro recessi dal rapporto arbitrari e per giungere ad un accordo equo, in un rapporto quale quello di lavoro dove la disparità tra le due parti, per forza economica, informativa e di ogni tipo, è impari.

Pubblicato il 1 ottobre 2014, in Politica con tag . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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