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Le elezioni del 4 Marzo: un punto di svolta per la politica italiana


A un mese dalle elezioni del 4 Marzo possiamo dire che esse sono state un punto di svolta della politica italiana traghettandola definitivamente nell’era della modernità liquida o post-modernità.

Baumann, nei suoi numerosi saggi, identifica nella modernità liquida il periodo storico in cui stiamo vivendo caratterizzato da un lato dalla scomparsa di tutte le istituzioni “solide” dalla fabbrica allo stato, istituzioni con regole ben precise che regolavano la vita degli uomini, dall’altro da persone, formalmente liberate da queste regole, che vivono però una costante esperienza di insicurezza e precarietà perché lasciate ad affrontare da sole gli enormi problemi dell’età moderna, essendo spariti o depotenziati tutti i luoghi intermedi, partiti, sindacati, associazioni, capaci di incanalare in una direzione le aspirazioni e gli sforzi dei singoli.

Inoltre le persone essendo o sentendosi formalmente libere di fronte alle infinite scelte che la società moderna gli offre vivono anche la frustrazione di non potere ottenere soddisfazione se non momentanea nel cogliere una di queste opportunità, perché subito dopo gliene saranno offerte innumerevoli altre.  In questo modo il cittadino si trasforma definitivamente in consumatore compulsivo, non solo di beni, ma anche di esperienze e di idee.

E di orientamenti politici.

Tutto questo fa si che la società sia in continuo tumultuoso cambiamento con le strutture sociale ed economiche che, come l’acqua, mutano continuamente forma a fronte di avvenimenti politici economici e sociali

È importante capire anche che dal punto vista politico-economico lo scontro si è ormai ridotto tra il Capitalismo solido, quello della produzione per intendersi o anche quello corporativo, e il Capitalismo Liquido della Finanza e dell’Informatica.

Questo scontro si può vedere in innumerevoli punti, dallo scontro tra Uber e i tassisti, all’ascesa dei grandi di internet come Facebook e Alphabet che ormai hanno oscurato i grandi storici produttori di Hardware come IBM e HP, nella crisi del commercio al dettaglio e dei centri commerciali scatenata dall’arrivo di player come Amazon o Alibaba.

In questo quadro storico, che al solito in Italia arriva con qualche anno di ritardo rispetto al resto del mondo occidentale, il Partito Democratico si è posizionato a difesa del Capitalismo Solido dimostrando che, oltre a rinnegare le proprie origini, ha capito ben poco dello scontro in atto.

Di questo ne sono prova sia il maggior intervento in campo lavorativo cioè il Jobs Act, che a fronte di una enorme regalia alle imprese concede loro massima libertà di licenziamento e demansionamento sia la cosiddetta Buona Scuola che con l’istituzione dell’Alternanza Scuola Lavoro intende preparare i ragazzi all’ingresso in un mondo del lavoro direi novecentesco, senza rendersi conto che nell’arco di 10 anni il mondo del lavoro sarà completamente trasformato dall’automazione sempre più spinta e dall’impatto devastante   dell’intelligenza artificiale.

A questi si aggiunge una campagna elettorale demenziale che, incapace di capire il senso di precarietà e insicurezza che è un fattore ormai innato nella società moderna, ha passato il tempo a glorificare i risultati in campo economico e lavorativo, peraltro assai presunti.

Dulcis in fundo, in una società che volenti o nolenti, vede nella politica solo un prodotto da consumare, la riproposizione di un leader già sconfitto e bruciato privo dell’unico asset possibile in una società liquida, cioè la credibilità, ha spianato la strada per il risultato disastroso in termini elettorali.

Discorso simile si può fare per Berlusconi e Forza Italia, un leader screditato, aggrappato a un modello capitalista superato e incapace persino di pronunciare correttamente la parola ‘Google’

Hanno vinto invece Lega e 5 Stelle che, in maniera consapevole o meno, hanno cavalcato i sentimenti di precarietà e sicurezza, da un lato quella fisica, con gli immigrati invasori, dall’altro quella sociale con il reddito di cittadinanza, e presentavano due leader telegenici, non solo in senso televisivo, e credibili perché ancora non “testati” al governo.

In questo senso la lettura delle elezioni del 4 marzo come scontro tra società aperta e società chiusa mi pare fuorviante se non profondamente sbagliata e assai auto-assolutoria. Anche perché la destra di Berlusconi mi pare assai più chiusa in termini sociali ed economici dell’ambiguo universo dei pentastellati.

Anche le accuse più o meno velate alle fake news che sul web hanno influenzato il voto mi paiono ridicole, sia perché in Italia “naviga” in rete meno del 60% della popolazione,

sia perché le tecniche che si sarebbero usate paio assai mitizzate e di efficacia quantomeno dubbia.

Più che altro queste discussioni mi paiono l’ennesima prova del non aver capito i termini della situazione sociale, politica ed economica.

Per ripartire la sinistra, ormai completamente azzerata perché priva di riferimenti credibili, a mio modesto parere dovrebbe prima capire cosa sta succedendo e poi chiedersi come, a fronte di una società atomizzata e ontologicamente insicura, si possano trovare strumenti di aggregazione e di azione collettiva.

 

I flussi di voto nelle elezioni regionali sarde


All’indomani delle elezioni politiche del 2013 ci furono diversi studi che provarono ad analizzare i flussi di voto che portarono al grande successo del Movimento 5 Stelle. Le recenti elezioni regionali sarde  tuttavia ci offrono la possibilità di analizzare ulteriormente i flussi elettorali in una diversa prospettiva, per certi versi inedita. Infatti il Movimento di Beppe Grillo, primo partito dell’isola durante le passate elezioni politiche, ha deciso di non presentarsi alla tornata elettorale regionale per dissidi interni, lasciando il proprio grande serbatoio di voti libero di riposizionarsi a proprio piacimento.

Lo studio di questo riposizionamento diventa allora interessante per capire quanto sia solido il consenso al Movimento 5 Stelle e quanto di questo sia invece pronto a dirigersi altrove, magari ritornando alle proprie “origini” elettorali.

L’analisi
 
La Sardegna consta di 377 comuni, la gran parte sotto i 1000 abitanti e un corpo elettorale di poco più di 1.300.000 elettori, non molto più grande di quello di Milano e in linea di principio una analisi di Goodman dei flussi elettorali tra elezioni politiche del 2012 e quelle regionali del 2013 a livello di singola sezione non parrebbe una impresa improba.

Distribuzione_Elettorato

Tuttavia la Regione Sardegna non fornisce dati a livello di seggio il che, unito alla frammentarietà del quadro politico, con oltre 20 liste e 6 candidati presidente rende l’analisi sin dall’inizio, alquanto improba.

Per provare a semplificare il quadro si sono accorpate, per quanto possibile, per aree politicamente omogenee tutte le liste sotto il 3% come da tabella qui riportata

raggruppamenti

 

Per quanto riguarda i dati invece si è quindi provato ad analizzare i dati dei piccoli comuni sotto i 5000 abitanti con l’assunzione che il singolo comune potesse essere assimilato a una singola sezione elettorale o un loro ristretto gruppo omogeneo, massimo 5 o 6. Tuttavia questa assunzione teorica non ha dato i risultati sperati. Infatti pur provando a restringere il campione per provincia o gruppi di esse, in base al numero di elettori e/o variazione percentuale della popolazione tra le due elezioni o varie combinazioni di queste 3 variabili allo scopo di ottenere dati più omogenei, in nessun caso si è riuscito a scartare meno del 22% dei voti, relativi ai coefficienti negativi emersi nell’analisi statistica, non raggiungendo quindi il requisito minimo di qualità dell’analisi medesima, come da letteratura.

Si è quindi rivolta l’attenzione ai comuni più grandi dell’isola.

Tuttavia anche qui le difficoltà a partire dalla raccolta dati non sono mancate. Infatti i servizi elettorali dei comuni dell’isola appaiono quanto meno disorganizzati e privi dei pur minimi strumenti che possano agevolare la fruizione dei dati in loro possesso. Pare infatti sconosciuto ai preposti uffici comunali l’uso dei fogli di calcolo elettronici, in qualsiasi formato, preferendo di solito la presentazione di documenti in formato PDF malamente formattati o l’utilizzo di pagine web a un livello esagerato di dettaglio rifuggendo in modo direi quasi ossessivo da ogni forma di riepilogo tabellare di semplice comprensione e fruizione.

Nonostante queste difficoltà si sono raccolti tre set di dati corrispondenti ai comuni di Cagliari, Nuoro e Quartu Sant’Elena per circa il 20% del corpo elettorale dell’isola. In tutti e 3 i casi, dopo l’usuale scarto di sezioni ospedaliere o anomale in quanto registrano notevoli fluttuazioni del corpo elettorale tra le due elezioni  l’analisi e’ apparsa subito molto più semplice (Cagliari e Sassari) o comunque entro limiti accettabili (Quartu)
I risultati

Il risultato e’ riportato qui in tabella:
Flussi_Elettorali

Il Partito Democratico

L’elettorato PD e’ quello piu’ fedele nel confermare il voto al proprio partito con il 45% di cittadini che confermano la fiducia al partito di Matteo Renzi, certo ben lontani dai livelli elevatissimi presenti in altre elezioni. Del restante 55% una quota di meno del 20% si rifugia nell’astensione, meglio ha fatto solo l’elettorato di un altro partito del 2013 sparito cioe’ Scelta Civica (o meglio l’insieme di Scelta Civica UDC e FLI)  che abbassa la sua quota di astenuti al 12.5%, un risultato che si puo’ definire per certi versi paradossale. Infine il 35% mancante si sposta principalmente verso le innumerevoli liste di sinistra alleate al PD, per poi frantumarsi piu’ o meno equamente sulle restanti liste. Tuttavia il PD presenta anche una notevole forza attrattiva pescando voti con percentuali oltre il 10% da SEL, Scelta Civica e M5S. Da notare che il grosso dei voti di riconferma al PD vengono da Sassari, essendo le percentuali di riconferma a Cagliari e Quartu decisamente piu’ bassi

Il Popolo della Libertà

Il partito di Silvio Berlusconi perde quasi la meta’ dei voti nell’astensione, mentre la neonata Forza Italia ne conserva solo poco piu’ di un quarto. Poco meno del
10% degli elettori del PDL si ridirige verso gli altri movimenti di centrodestra, mentre il rimanente si distribuisce in maniera uniforme verso le altre lite, incluse quelle di centrosinistra.

Il Movimento 5 Stelle

Degli elettori di Beppe Grillo solo circa il 45% torna alle urne, e di questi poco meno del 20% da’ la sua fiducia ai partiti del centrosinistra, ma una quota di poco inferiore scegli partiti e movimenti di centrodestra. In particolare verso il PD si indirizzano poco più dell’11% degli elettori stellati, mentre verso i vari partitini minori del centrodestra se ne spostano in misura pari al 9%.

Conclusioni

Il tasso di fedeltà nei confronti di tutti i partiti politici pare genericamente molto basso, con la sola parziale eccezione del Partito democratico. In compenso la mobilita’ elettorale pare notevole ma senza direzioni precise. Senza grandi sorprese l’elettorato dei 5 Stelle e’ quello che denota un maggiore grado di sfiducia verso le formazioni politiche classiche, disertando le urne. Tuttavia una parte non piccola dell’elettorato grillino ridà la propria fiducia a quelli che verosimilmente sono i loro partiti “originari”. Quanto questa sia una fiducia momentanea e legata alle dinamiche proprie delle elezioni locali oppure sa un effettivo rigetto dell’opzione politica rappresentata dal Movimento 5 Stelle lo si potrà scoprire probabilmente nelle incipienti elezioni europee.