Brevissimo manuale di politica italiana relativamente agli ultimi 20 anni ad uso di Bindi, Civati & Co


Le elezioni politiche del 1992 segnarono la fine della cosiddetta Prima Repubblica. Un esangue pentapartito conquista una fragile maggioranza che non resisterà ai colpi di Mani Pulite, mentre si affaccia in parlamento per la prima volta uno dei protagonisti della politica italiana dei futuri – da allora – 20 anni.
Due anni dopo, crollato il vecchio mondo, nel parlamento eletto del 1994 sono già presenti sia gli attori che i modelli politici dei successivi 20 anni. Questi sono ovviamente Forza Italia da un lato, PDS dall’altro. Il modello adottato da entrambi è il medesimo: un partito centrale attorno al quale aggregare le aree di destra e di sinistra. La riuscita dell’applicazione di questo modello nei due campi determinerà la vittoria o la sconfitta elettorale.

Nel 1994 i Popolari corrono da soli e decidono de facto la sconfitta del centrosinistra guidato da Occhetto, nel 1996 il centrosinistra invece vince grazie alla spaccatura tra Forza Italia e Lega, nel 2001 il centrodestra riprende il potere grazie alla fuoriuscita di Di Pietro dal centrosinistra. Nel 2006 il modello, peraltro utilizzato con successo in centinaia di elezioni locali, mostra i primi segni di cedimento: le due coalizioni monstre che inglobano chiunque nei rispettivi campi sono praticamente equivalenti e la vittoria si disputa letteralmente su poche migliaia di voti. Il sistema elettorale accentua queste problematiche consegnando un grosso potere di interdizione alle minoranze interne dei due schieramenti e crea le condizioni di fatto per il collassamento del centrosinistra grazie a una spregiudicata manovra di palazzo.

Sebbene il più colpito sia il campo di centro sinistra anche la coalizione di centrodestra avverte i pericoli di queste forze centrifughe cosi’ quando a sinistra si pensa di risolvere la questione creando un partito a vocazione maggioritaria fondendo DS e Margherita, a destra si replica la medesima operazione. L’operazione riesce in parte in entrambi i campi. Il PD riesce a marginalizzare i partiti alla sua sinistra, salva un partito ancillare come IDV, ma perde le elezioni.

Il centrodestra, pur non riuscendo ad assorbire la Lega nel PDL, vince agevolmente le elezioni. A questo punto la vocazione maggioritaria veltroniana subisce una battuta d’arresto e la segreteria Bersani ricomincia a lavorare sul vecchio schema di un partito centrale che avesse alle sue ali un partner più di centro e uno più di sinistra. Contemporaneamente il PDL entra in crisi sia per cause interne, l’unione di Forza Italia e AN sembra più un’annessione che una fusione, ed esterne, incapacità di gestire la drammatica crisi economica unitamente al logoramento personale del leader.
Il governo Berlusconi quindi cade e viene sostituito dal governo Monti. Tuttavia l’ipotesi bersaniana di un centrosinistra che avesse il perno sul PD fallisce per il rifiuto delle forze centriste raccoltesi intorno a Monti di allearsi con il PD.
Il risultato è la ‘non-vittoria’.Il centrosinistra prevale di poco e conquista la Camera dei Deputati ma a causa dell’apparire prepotente di una nuova forza politica è privo della maggioranza al Senato.

Una situazione quindi in parte simile al 1994 per la divisione tra centro e centrosinistra e in parte simile al 1992 con l’apparire di una nuova forza politica che in nuce potrebbe avere un ruolo determinante nella politica dei prossimi anni. Ma se le elezioni politiche 2013 segnano la fine del bipolarismo della Seconda Repubblica con un parlamento sostanzialmente tripartito, nelle Europee 2014 si appalesa quello che potrebbe essere il modello dei prossimi anni, cioè un PD centrale nella politica italiana con ai lati 2 partiti di medie dimensioni, cioè Forza Italia e Movimento 5 stelle impossibilitati da un lato a fare fronte comune contro il PD e dall’altro profondamente immaturi in termini di elaborazione politica e pesantemente carenti di una qualsivoglia struttura gerarchica e organizzativa articolata.

In realtà i partiti di medie dimensioni potrebbero essere anche più di 2, la Lega nella sua versione nazionalista avanza a grandi passi ad esempio, ne’ si può escludere una fase più o meno prolungata di “distruzione creativa” di questi movimenti che porti al tramonto di alcuni e al sorgerne di altri. Entrambi fattori che nel medio periodo sarebbero comunque assolutamente funzionali al ruolo centrale del PD.

Sembrerebbe quindi che per i prossimi 10/20 anni la centralità – in tutti i sensi – del PD la farà da padrone.

Tuttavia anche qui ci sono dei profili di rischio che si possono ravvisare a mio parere nei 2 principali motivi a mio parere per cui il PD è sopravvissuto a una sconfitta elettorale e mezza, mentre il PDL è collassato dopo avere vinto bene le elezioni del 2008.

Il primo motivo per cui il PD ha resistito agli sconquassi delle sconfitte è che sul PD è stato fatto un investimento serio da parte di letteralmente milioni di persone che hanno visto nel PD l’unione dei riformismi socialisti e cattolici e ci hanno creduto aldilà degli apparati partitici di riferimento costituendo un capitale ideale di difficile -ma non impossibile- dissipazione. Dall’altro lato dello schieramento abbiamo visto invece un partito creato da un predellino, imposto dall’alto con poca partecipazione non solo degli apparati partitici ma anche degli elettori medesimi. Una creatura artificiale messa in piedi in parte per motivi di marketing politico, in parte nell’estremo tentativo di controllare una parte del proprio schieramento ritenuta troppo autonoma.

Il secondo motivo per cui’ il PD è sopravvissuto è che il PD è stato finora un partito resiliente, cioè un partito che anche quando una sua componente falliva, metti caso il primo segretario Veltroni, rimaneva in piedi. E rimaneva in piedi perché aveva una classe dirigente diffusa ancorché litigiosa che nei momenti di crisi è sempre riuscita a produrre un nuovo leader con un profilo politico diverso da quello precedente. Era dunque un partito multicefalo come la Democrazia Cristiana per intendersi, e la Democrazia Cristiana è durata 40 anni proprio grazie alla sua multiformità.

Ora questi due aspetti nel PD renziano stanno sparendo: partecipazione al voto e alle primarie diminuiscono drammaticamente e contemporaneamente si sta assistendo a un appiattimento sulle posizioni del segretario tale che i due suoi sfidanti alle primarie, che insieme avevano comunque un buon 40% del partito, sono stati relegati a figure minori, buone giusto per esercitarvisi un bullismo mediatico a tratti decisamente infantile.

Tutto cio’ premesso quali sono le strade a chi si voglia opporre alle politiche portate avanti da Renzi?

La prima è forse la più scomoda e si basa sull’assunto che il PD sara’ il partito centrale della politica italiana nei prossimi anni, ergo la dialettica maggioranza/minoranza si riverserà paradossalmente tutta entro di lui. Un effetto amplificato dall’Italicum che assegna la maggioranza assoluta dei seggi al vincitore (prima lista o prima coalizione che sia) alla Camera e dalle riforme istituzionali che prevedono un Senato notevolmente depotenziato sia come funzioni che come formazione. Se quindi il PD viene ad avere più del doppio dei seggi di una qualsivoglia forza di opposizione, opposizioni peraltro incapaci di parlare tra di loro e di architettare insieme una soluzione diversa alle politiche governative, queste saranno giocoforza marginalizzate e ai fini del dibattito politico conterà solo quel 10/15% di deputati riottosi alle issues governative che l’Italicum consentirà di eleggere (e solo all’interno del partito vincitore, perché in tutti gli altri casi saranno eletti i capilista bloccati e quindi benedetti dal capo partito di turno) Quindi la prima strada è rimanere nel PD a fare opposizione interna, bullato dai quadri filo-governativo e sbeffeggiato dagli elettori che richiedono coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Posizione scomodissima che rischia enormemente l’irrilevanza, scontata se le politiche governative hanno successo, molto probabile se in caso di fallimento il risultato elettorale travolgerà tutto e tutti e ci sara’ da ricostruire molto faticosamente sulle macerie. Persino un cambio di leadership in corsa, sul modello Blair/Brown o Tatcher/major, servirebbe molto probabilmente solo a costituire i prodromi per una successiva pesante sconfitta.

La seconda strada è la fuoriuscita dal PD per costituire un partito “vicino” con l’idea di diventare decisivi nell’indirizzare le politiche governative. Certo l’Italicum complicherebbe parecchio le cose perché o si accetterebbe di fare una coalizione col PD – e sarebbe arduo fare capire agli elettori perché ci si è scissi e poi ci si è rimessi insieme – trascurando il fatto che difficilmente il PD si alleerebbe con degli scissionisti, o di nuovo ci si consegnerebbe all’irrilevanza o quasi di una opposizione, ma non troppo.

La terza strada, apparentemente la più dura, è fuoriuscire dal PD postulandone la deriva centrista se non destrorsa e costruire un partito di sinistra chiaramente all’opposizione di quelle politiche, avendo bene a mente che anche la DC, il sommo esempio di Partito Nazione, interclassista di per se’, aveva al suo interno delle istanze di sinistra, ma che queste non la qualificavano come partito di sinistra. L’operazione è certo difficile, visto che a sinistra del PD galleggiano rottami, anche ideologici, che renderebbero pericolosa la navigazione, ma d’altro canto c’è un grosso serbatoio di voti da aggredire, l’astensione, unitamente al fatto che il voto popolare è molto ma molto più liquido di quanto sembri.

Pubblicato il 1 dicembre 2014 su Politica. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 3 commenti.

  1. Ottima analisi delle tre opzioni. Secondo me, però, trascuri troppo la variabile temporale: quanto succederà con l’elezione del del PdR e dopo di essa, può cambiare nettamente la praticabilità delle varie opzioni.

  2. non ho uno sguardo cosi’ a corto raggio: mi spiego quello che a me interessava e’ ragionare sullo scenario di medio/lungo termine, che questo sia accelerato da eventi contingenti ci sta nelle cose, ma non e’ assolutamente prevedibile

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